Testimoni: Don Oreste Benzi (7 Settembre)

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Don Oreste Benzi (7 Settembre)Nel momento in cui chiuderò gli occhi a questa terra, la gente che sarà vicino dirà: è morto. In realtà è una bugia. Sono morto per chi mi vede, per chi sta lì. Le mie mani saranno fredde, il mio occhio non potrà più vedere, ma in realtà la morte non esiste perché appena chiudo gli occhi a questa terra mi apro all’infinito di Dio». Queste sono le parole con cui don Oreste commenta il brano di Giobbe (19,1.23-27) in occasione della Commemorazione di tutti i fedeli defunti, facendolo sul messalino bimestrale Pane Quotidiano del 2 Novembre 2007, giorno in cui, alle due e ventidue di notte, si ferma il cuore grande del parroco di tutti: vedeva le cose prima di chiunque, compresa la sua stessa morte..   Chi è stato don Oreste?Settimo dei nove figli di Achille Benzi e Rosa Silvagni, vede la luce alle ore due del 7 settembre (ragion per cui lo festeggiamo oggi) del 1925. Siamo nella frazioncina di Sant’Andrea in Casale. Del padre, mutilato di guerra e lavoratore precario, racconta spesso un episodio che lo ha segnato: tornato a casa dopo aver aiutato un uomo facoltoso a disincagliare la sua auto da un fossato, afferma: «papà ha messo le due lire lì, io ricordo tutto come fosse in fotografia, e poi quello che mi ha impressionato è che ha detto.. ve lo dico in dialetto? “E po’ u m’ha de’ la mena”, “E poi mi ha dato la mano”.. ho capito che mio papà apparteneva a quella massa di gente che crede talmente di non valere nulla, che quasi chiede scusa di esistere». Insomma una famiglia tutt’altro che benestante..Tutt’altro, eppure gioiosa e serena, con un papà e una mamma dalla fede semplice quanto robusta: come racconta il giornalista riminese Valerio Lessi, che ha scritto diverse sue biografie (Con questa tonaca lisa; Parroco, cioè padre e Un infaticabile apostolo della carità, come lo definì papa Benedetto XVI), il piccolo Oreste seguiva spesso il padre nei suoi lavori saltuari.. «(Achille) lo mette sul cannone della bicicletta.. (ma) “A volte lui cambiava strada e io – è il bimbo a parlare – gli chiedevo in dialetto: “Ba’, du tvè?”, cioè “Babbo, dove vai?”. E lui, zitto, mi faceva arrabbiare, non mi diceva dove stava andando.. però ero molto contento perché.. ero con lui.. (allora) ho capito che io non posso entrare nella mente del Papà, di Dio, e capire il suo disegno. Però Lui me lo mostra pezzo per pezzo». Lo stesso insegnamento, circa il disegno divino di ognuno, gli era veicolato da mamma Rosa, cui era legatissimo, attraverso un altro momento di vita quotidiana: «Mamma cosa fai?», chiedeva il piccolo vedendola ricamare, «Adesso non puoi capire, aspetta e vedrai che cosa bella viene fuori».   Quindi la sua vocazione nacque dai genitori..All’inizio sì, poi però furono altre le figure chiave, a partire da Olga Baldani, sua maestra elementare. Mentre frequenta la seconda, lei parla alla classe di tre soggetti: lo scienziato, l’esploratore e il prete, ma è quest’ultimo a colpire il piccolo Oreste, tanto da fargli dire, una volta arrivato a casa: «Ma’, me am faz pret», «Mamma, io mi faccio prete». Sarà quindi determinante monsignor Emilio Pasolini, instancabile educatore che dormiva pochissimo e di cui farà suo il motto “strapazzarsi per le anime”, perché capace di sintetizzare il compito di ogni prete, ma lo utilizzò fino a quando il vescovo Biancheri gli chiese di non pronunciarlo più, temendo che in quest’affermazione così netta i presbiteri potessero sentirsi giudicati e non all’altezza. Altra figura in grado di lasciare un segno è poi quella del vescovo Luigi Santa, chiamato a far rialzare Rimini dalle macerie della Seconda Guerra. Sarà proprio lui a ordinarlo presbitero il 29 giugno del 1949, giorno in cui la Chiesa celebra le colonne Pietro e Paolo. Da giovane prete viene mandato a “farsi le ossa”, come si suol dire, nella parrocchia di San Nicolò al Porto, al tempo ancora non ricostruita dopo i terribili bombardamenti che rasero al suolo la maggior parte della città, costringendolo insieme al suo p...

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